L’era dello Smart Working (riscoperto?): sarà davvero lavoro intelligente?

ASSI, l’associazione degli informatici bolognesi, ha organizzato già nel febbraio 2017 un incontro con la partecipazione di Emanuele Madini del Politecnico di Milano, per discutere di quel che sta succedendo e succederà al nostro modo di lavorare, dato che lo “smart working” è una pratica già attiva , presto sarà normata e potrà far parte integrante dei contratti di lavoro.

La tematica è stata trattata su 5 declinazioni specifiche: organizzativa, tecnologica, costi aziendali, costi sociali e nuovo welfare legato al tempo delle persone.

Interessante la definizione di Smart Working secondo l’Osservatorio del PoliMI: “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati

Filosofia Manageriale riguarda principalmente un nuovo modo di organizzare il lavoro con meno vincoli di tempo e di spazio, alla ricerca del talento, delle buone idee, dell’impegno personale, della formazione continua. Il “capo”, colui che è responsabile dei risultati, è l’organizzatore del team, non si occupa delle mansioni ma degli obiettivi, non ha le competenze del team, sa quali gli servono e le sa orchestrare, fa molta pianificazione e controllo sugli stati di avanzamento, stimola anche culturalmente, fa crescere le persone, mette al centro la collaborazione e la capacità di imparare e naturalmente continua ad amministrare le risorse che rendono profittevole e sostenibile l’attività.

La declinazione “tecnologica”: per attuare la “Filosofia Manageriale” c’è bisogno di strumenti che abilitano i processi collaborativi, cognitivi, creativi, la gestione del tempo, l’assegnazione dei task su tempi e spazi che non sono più così condivisi. La definizione di standard sostituisce la scelta degli strumenti, che possono essere anche diversi e di proprietà delle persone che si assumono la responsabilità di governarli.

Il nuovo workspace è un insieme di luoghi e di tecnologie attraverso cui le persone lavorano, comunicano, in modo organizzato e finalizzato al risultato delle attività. Alcuni esempi sono la video-call-conference multidevice, la gestione delle sale riunioni, il sound-masking per gli open space, il wireless, il secure networking, la banda larga.

Sul fronte dei costi aziendali le voci più comuni sono: meno trasferte, meno spazi ed allocazione dinamica dei posti di lavoro e di tutte le risorse condivise (sale riunioni, stampanti, multimedialità, network), meno misurazione del tempo di lavoro, meno assenteismo, meno straordinari.

Sul fronte dei costi sociali e welfare c’è tutto quel che riguarda gli spostamenti, tipicamente tutti alla stessa ora, per raggiungere il luogo di lavoro, e quindi traffico meno congestionato, riduzione dei costi di trasporto, la possibile cura familiare e della salute grazie ad una gestione più flessibile dei tempi.

Su queste basi, lo Smart Working sembrerebbe il nuovo paradiso dei lavoratori, ma ci sono delle domande a cui bisogna ancora rispondere. Chi può fare oggi lo smart working? Quali sono le condizioni che ne consentono lo sviluppo? Come si ripartiscono i vantaggi? Come si evitano gli abusi? Questa pratica coincide con il vero interesse del lavoratore o con quello del datore di lavoro? Esiste il problema della perdita di socialità nell’azienda?

In realtà lo Smart Working si può fare quasi sempre, in forme più o meno leggere: una regola è che quanto più l’attività è legata ad un luogo specifico e ad orari specifici, tanto meno si potrà fare Smart Working. L’esperienza di Tetrapack del ridisegno degli uffici è un esempio che coniuga principi di Smart Working con la necessità di essere presenti in fabbrica secondo l’orario aziendale. Al tempo stesso, è evidente che realizzare lo Smart Working è un progetto di cambiamento i cui capisaldi sono: Policy organizzative che ne definiscono il perimetro e le regole, uso di tecnologie digitali, revisione dei layout fisici dei luoghi di lavoro, comportamenti e stili manageriali. Ed è determinante legare il cambiamento ad obiettivi specifici e misurabili, alla loro condivisione, alla sperimentazione progressiva e agli aggiustamenti in corso d’opera, e ricordare che un progetto di cambiamento non è mai a breve termine, ed il disegno complessivo potrà essere raggiunto per tappe; ad ogni tappa raggiunta si potrà valutare se fermarsi oppure procedere alla successiva.

Operando sui comportamenti e sulle competenze, il fattore umano a disposizione, normalmente disomogeneo, deve essere ben compreso perché potrebbe essere l’ostacolo principale al progetto o il motivo principale di successo. Da tutto questo ne risulta che il successo del progetto dipende molto più dai comportamenti manageriali, dal clima aziendale, dalle persone coinvolte piuttosto che dalle tecnologie e da altri fattori a cui si da spesso una importanza eccessiva.

Lo Smart Working è una nuova forma di sfruttamento della forza lavoro? Poiché si sostituisce una misura oggettiva, “il tempo”, con una più discrezionale, “il raggiungimento di obiettivi”, il pericolo esiste. Anche in questo occorrerebbe una preparazione specifica dei rappresentanti dei lavoratori in grado di negoziare e aiutare a gestire il fenomeno, in grado di chiedere la propria quota sui risultati ottenuti ed evitare gli abusi.

Lo smart working è una minaccia alla socialità aziendale ? Mentre il telelavoro lo può essere, il comportamento manageriale attraverso il coinvolgimento e tutte le possibili forme di partecipazione devono evitare questo rischio. Anche qui l’attenzione dei manager HR si deve spostare dalla logica del controllo del tempo e della normativa al supporto ai risultati di ogni funzione aziendale: quali competenze servono, come si possono attirare e retribuire, quali sono i talenti disponibili, quali azioni correttive prendere su chi non riesce ad essere in linea con gli obiettivi.

Infine la domanda più importante: perché un’azienda dovrebbe affrontare un progetto di Smart Working? A questa domanda non si risponde con il welfare aziendale, i minori costi aziendali e sociali , il fatto che “fa figo”. Le si risponde solo “perché aumenta la capacità competitiva dell’azienda”. Affrontare la complessità dei mercati moderni con organizzazioni poco flessibili e poco collaborative, incapaci di sfruttare il contributo di ciascuno (enpowerment è il giusto termine) significa mettersi a rischio: “chi non è in grado di affrontare offerte complesse di prodotto e servizio, non genera valore sufficiente a pagare i fattori della produzione del mondo occidentale e soccombe alle economie di prezzo”.

Inserire questa nuova “Filosofia Manageriale” nell’ambito delle leve di competitività dell’azienda è, alla fine, la vera giustificazione della necessità di adottare lo Smart working: il lavoro intelligente che rende le aziende più competitive.


Enrico Parisini, Presidente di ASSI

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