Il verbo si è fatto macchina?

L’evoluzione della tecnologia che genera prestazioni sempre più efficaci, in diversi campi dell’operare, umano e non, pone l’uomo sapiens moderno di fronte ad una profonda considerazione: cade la pretesa di essere l’unico depositario di una razionalità legata in modo indissolubile ad un corpo biologico e ad una intelligenza.


Pare che infatti la razionalità e intelligenza (la cui ontologia è tuttora da definire) prerogativa dell’uomo, una volta separatesi dalla propria coscienza e migrata nelle tecnologie dotate di intelligenza artificiale (AI), porti tendenzialmente l’uomo a congedarsi dall’illusione tolemaica di disporre del monopolio della conoscenza.


Insomma si potrebbe dire che il verbo si è fatto macchina.
Come se, stando sempre nella sfera teologica, lo spirito inizi a soffiare anche negli artefatti (macchine, robot, calcolatori, etc.), dove il linguaggio e la razionalità, sostanziati in un algoritmo, si manifestano in corpi inorganici, in una sorta di umanità aumentata.


Sorge allora una profonda domanda: una volta che questi dispositivi siano diventati sempre più performanti, capaci di auto-apprendere e di prevedere, e con velocità operativa ineguagliabile per il cervello biologico, l’uomo si troverà ad essere l’organon aristotelico, l’esecutore di quanto prescritto da un logos artificiale? Oppure si perverrà ad una simbiosi collaborativa tra l’intelligenza biologica e quella artificiale?
A ben vedere, e a buon senso, la trasposizione della razionalità, quindi di una intelligenza umana nelle macchine non è altro che una delle tante forme di oggettivazione della soggettività umana. Così come è stato con la scrittura, dove i concetti mentali assumono la forma fisica di segni tracciati su un supporto. Come di fatto è nella scrittura del codice software. La vera differenza tra la scrittura e il software (ma che ontologia definire per questo oggetto?) è che quest’ultimo venendo interpretato da un computer, genera retroazioni reiterate col soggetto umano o con altri oggetti inorganici. E questo pone altre domande sempre sul tema: chi guida la danza?


Ma è sempre il soggetto umano, creatore dei suoi artefatti, che inizialmente da una delega ai suoi oggetti a cui a prestato una qualche forma di intelligenza cristallizzata nell’algoritmo.
Quando discutiamo (impropriamente) di intelligenza, coscienza, emozioni delle macchine usiamo un linguaggio metaforico, dando a questi oggetti artificiali attributi e qualità che non possiedono ontologicamente. Così come gli orologiai medievali tendevano ad umanizzare le figure di personaggi mosse dagli ingranaggi allo scoccare delle ore, suscitando meraviglia e stupore ai cortigiani.

Appunti e interpretazioni sui lavori di Remo Bodei.


Gianni Previdi

Per leggere l’articolo completo: https://www.gianniprevidi.net/il-verbo-si-e-fatto-macchina/

Categoria/Tag: Intelligenza artificiale

 

 

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