Andare più a fondo: come realizzare l’eccellenza operativa, dove troviamo la sintesi tra organizzazione e sistemi informativi.
In teoria, le società di consulenza strategico-organizzative sono deputate a questo compito a agiscono secondo questi passaggi logicamente ineccepibili:
- Capire il problema da risolvere
- Descrivere accuratamente e condividere il punto di partenza (as-is)
- Definire gli obiettivi del cambiamento (to-be)
- Progettare la soluzione anche attraverso momenti e strumenti di condivisione
- Descrivere la soluzione ai fini della condivisione e approvazione
- Cercare un sistema informatico che possa supportare il cambiamento (made+buy)
- Mettere in opera un progetto di cambiamento organizzativo/di sistema supportato da un adeguato sistema di informazioni
- Realizzare il cambiamento
Peccato che operazioni così condotte si misurano in anni di lavoro prima di raggiungere un risultato apprezzabile. Il rischio di ieri era il costo del progetto, il rischio di oggi è che al termine dello sviluppo dell’applicazione i punti di partenza siano già cambiati.
Nel tempo, metodologie cosiddette “AGILE” hanno cercato di abbreviare i tempi stringendo tutte le fasi, in particolare quella di sviluppo/customizzazione, attraverso modelli software che comprendono i processi base di tutte le aziende, piccole, medie, grandi. Si affaccia così la tentazione di utilizzare le procedure per modificare i processi e le attività. Chi ha scelto questa scorciatoia spesso non ha ottenuto risultati apprezzabili, sia per la naturale resistenza ad un cambiamento che si giudica inadeguato, sia per la modellazione di processi che poi tanto standard non sono perché legati al “business” e non alle “best practice” .
Essendo ancora il tempo e il costo gli elementi importanti della questione, di volta in volta l’onere della prova spetta o alla consulenza organizzativa e/o ai sistemi informativi. Buoni casi di progettazione congiunta sono rari. E’ più importante preparare le persone o avere un ottimo sistema informativo? Oppure tutte e due? Sono domande che ancora non si risolvono. La consapevolezza che la gestione del cambiamento non è un episodio, ma un’attività continua per la realizzazione di una “adeguata risposta al mercato”, non ha ancora passato la soglia degli organigrammi. La consapevolezza che occorre misurare il costo complessivo dell’operazione e non solo il costo delle attività di sviluppo software non è ancora sufficientemente maturata.
La situazione aggiornata degli strumenti metodologici per la gestione della complessità ed il raggiungimento dell’eccellenza operativa è in realtà confusa, nel senso che coesistono un po’ tutti i modi di procedere: dipende dal consulente. L’unica cosa che ha veramente tagliato i tempi oggi è lo sviluppo software, dove diversità di approccio danno luogo a differenze anche di un ordine di grandezza nella esecuzione. Dove la gestione dell’interazione con la applicazione è il punto fondamentale. Competenza e conoscenza hanno ancora un significato.
Forse però è giunto il tempo di occuparsi un po’ di più del malato, piuttosto che delle medicine.
Nasce allora la necessità di nuove figure professionali, di nuovi organigrammi, di nuovi modelli di riferimento. E’ ancora possibile oggi che chi ha responsabilità di una attività non conosca con precisione i processi sottesi, metodi e strumenti che li governano, l’uso che ne fanno le persone ?
Uno studio interessante sui fattori che consentono l’uso proficuo delle analytics all’interno delle organizzazzioni : AMQ Analytics Maturity Quotient (AMQ)
L’ autore dello studio sostiene che in una organizzazione data, la capacità di questa di trarre beneficio dall’uso di procedure per l’analisi dei dati è influenzata da 5 fattori :
Data Quality (DQ)
La qualità dei dati è fondamentale per qualsiasi analisi. L’affermazione di per sé è banale, ma per chiunque abbia lavorato in una organizzazione sa dell’importanza della fonte del dato, della precisione con cui viene rilevato, delle forme di controllo a cui la rilevazione viene sottoposta, alla tempistica con cui viene rilevata. Così come questo non sia sufficiente per una completa analisi ma occorre un successivo attento processo di validazione all’interno di consolidate procedure ETL.
Data driven Leadership (L)
C’è una guida a questo processo che detta le regole e infonde in tutti gli attori la convinzione profonda della potenza della leva informativa sulle azioni da intraprendere per arrivare a decisioni migliori. C’è una disciplina che deve essere richiesta . Occorre comunicare modelli e rappresentare comportamenti.
People skills in analytics (P)
Occorre avere persone preparate sulle tecniche di analisi dei dati. Una preparazione statistica, ottenuta anche con la formazione. E’ la prima conseguenza della disciplina richiesta .
- Decision making process (D)
Il processo decisionale, la metodologia seguita, deve essere descritta e compresa, per esempio occorre comunicare con chiarezza gli obiettivi, come questi si misurano e che non sarà sempre così che si misurano.
Agile Infrastructure (I)
Un’agile infrastruttura che ha all’interno gli strumenti di elaborazione, i metodi di distribuzione e condivisione, di classificazione, di simulazione, di velocità di esecuzione. Quello che in gergo viene chiamato il framework applicativo per la Business Intelligence.
Gli autori arrivano addirittura a formulare un metodo quantitativo, una formula per la misura del AMQ .
AMQ = DQ x (0.4 x L + 0.3 x P + 0.2 x D + 0.1 x I)
formula in cui i valori delle variabili sono da determinare su un punteggio da 1 a 10 .
L’approfondimento può essere fatto direttamente sull’articolo citato nella bibliografia, l’interesse in questo articolo è per il ragionamento che i pesi sottoindendono: la qualità del dato è il punto di partenza, poi viene la formula organizzativa, poi le competenze , il processo e infine l’infrastruttura tecnica . Un po’ tranchant, ma interessante .
Dopo il leader … il coach ? Una ricetta per la PMI italiana ?
Cercando materiale sull’eccellenza operativa, ho incontrato un testo di management, “Change and Coach”, che affronta questo tema partendo dai modelli “lean” consolidati nel Toyota Production System, per arrivare ad una ricetta “made in via Emilia”, adatta alle strutture organizzative presenti nel tessuto produttivo italiano. Aziende medio piccole, organigrammi leggeri (1-2 livelli), molto flessibili come risposta al mercato, che hanno molte difficoltà a misurarsi con la complessità, per esempio, di un mercato internazionale o di una filiera produttiva che necessita di competenze profonde per potersi integrare, che non hanno la visione del processo. In aziende come queste, generare cambiamento lavorando di sistema informativo alla SAP, piuttosto che con la blasonata consulenza organizzativa, produce costi e poco risultato. Non ci sono di norma le strutture intermedie che abitualmente dialogano con queste entità e fanno da traino al processo di cambiamento. La tesi è che bisogna fare con quello che c’è e per poterlo fare occorre mutare l’atteggiamento delle persone verso il cambiamento; questo produrrà un grande miglioramento nei processi e quindi nella risposta al mercato. Per spiegare in cosa differisce la leadership dal coaching, un ragionamento interessante svolto dagli autori è quello relativo al raggiungimento della “competenza inconsapevole”. Nelle fasi della vita si passa da una incompetenza inconsapevole (bambino che non sa di non sapere ed esplora libero) alla incompentenza consapevole (andando a scuola ci si rende conto di quante cose non si sanno), alla competenza consapevole (ho studiato, ho provato, con il supporto di un testo o altro, ragionando posso fare cose), alla competenza inconsapevole (ho interiorizzato la competenza, non c’è la spiegazione della competenza, c’è la competenza), per esempio quella di un musicista che non ha più bisogno di leggere la partitura per eseguirla. Forse l’aggettivo utilizzato non è quello più felice perché è facile la confusione con l’istinto e non fa pensare alla interiorizzazione di competenze anche molto complesse. L’esito comunque del ragionamento è che solo attraverso una esperienza di coaching si può arrivare all’ultimo stadio, nel quale l’obiettivo è interiorizzato. Si possono quindi legare gli obiettivi dell’insieme (la squadra piuttosto che l’azienda) agli obiettivi personali, ambedue devono andare nella stessa direzione. Non c’è solo il faro che illumina l’obiettivo, c’è una condivisione profonda dell’obiettivo. L’energia del traino si moltiplica per il numero di persone che tirano. Mutato l’atteggiamento, si è resa automatica (inconsapevole, non c’è bisogno di pensarci) l’adesione alla necessità del cambiamento per la ricerca del valore per il cliente. Mantenendo comunque l’esercizio della responsabilità, la capacità di osservazione e di critica contestualizzata: “la linea può essere fermata anche dall’ultimo operatore”. In effetti nella gestione delle cose complesse, dove non c’è nessuno che ha dominio su tutte le competenze necessarie, il modello del coaching è sicuramente più adatto. In particolare nell’ambito dei sistemi informativi, dove la numerosità e la mutabilità delle competenze sono il primo fattore di costo e di risultato. Dove questa mutabilità si associa a quella del cliente, che trova valore in cose sempre differenti unite dal solo aggettivo “informatico”.
Andare più a fondo: liberare risorse che già ci sono.
Nei paragrafi precedenti è stato già messo in luce che nella ricerca del valore per il cliente, la complessità diventa un fattore competitivo, che per gestirla occorre avere sistemi informativi eccellenti che supportano una eccellenza operativa, che il cambiamento è uno dei fondamentali elementi della complessità. Il tema ora si sposta su dove trovare le risorse sufficienti per sostenere la complessità e il cambiamento in un momento in cui, in particolare, le risorse sono scarse per definizione e tracciare piani strategici attendibili è molto difficile. L’unica risposta è che le risorse occorre trovarle prima, dove già sono: persone, mezzi tecnici, processi, organizzazioni, informazioni esistenti. Per molto tempo il cambiamento è stato vissuto come un fattore esterno: cambio la fornitura, sostituisco il dipendente. E’ tempo di cercare il cambiamento interno, magari chiamiamolo miglioramento continuo. Migliorando le persone, il lavoro delle persone, l’efficacia dei processi, sia quelli di fabbrica sia quelli di ufficio, la rispondenza delle organizzazioni alla catena del valore; migliorando anche solo il flusso delle informazioni esistenti si genera valore, che può essere utilizzato per sostenere tutti i processi di miglioramento, primi fra tutti quelli che necessitano di investimenti in lavoro e mezzi tecnici. Gli esempi vanno dal liberare lavoro su operazioni che non generano valore per portarlo su operazioni che generano più valore (investimenti = 0) , fino a sostenere investimenti in tecnologie necessarie per mantenere elevato il valore che si passa al cliente e farselo riconoscere. Questo, in realtà, è il metro con cui si misura ogni miglioramento. Di queste operazioni se ne possono fare nel grande e nel piccolo. Un esempio pratico lo posso derivare da una recente esperienza diretta. Nell’ambito dei processi che riguardano il funzionamento dei sistemi informativi, uno dei processi cardine per il corretto mantenimento nel tempo dei servizi è il Backup. E’ un processo che in sé non genera valore, ma se non c’è può generare tantissimo disvalore. L’esecuzione ed il controllo di questo processo coinvolgeva 3 persone che, a turno, per un totale di 1 FTE /anno, si attivavano e mantenevano attiva la procedura. La tecnologia disponibile per il supporto di questi processi, negli ultimi anni è migliorata moltissimo: abbattimento di tempi, di spazio necessario per eseguire i backup, di tempi (importantissimo) per eseguire la Restore, abbattimento della richiesta di banda passante per l’esecuzione di backup di sistemi remoti in wan, semplificazione estrema dei comandi, utilizzabili da più persone a cui non si richiedono competenze tecniche profonde. Per attivare la nuova tecnologia occorrevano investimenti importanti, ma le risorse sono state trovate nel cambiamento dei mezzi tecnici e nel cambiamento del processo. I costi cessanti del mantenimento della vecchia tecnologia, 1/3 Fte /anno per gestire l’operatività, il possibile coinvolgimento di 5 persone sulle operazioni di routine, brevi ma importanti. L’uso meno frequente di persone esterne fortemente specializzate. Tutto questo in forme diverse ha liberato risorse, ha migliorato moltissimo l’esecuzione del processo, ha semplificato molto l’architettura di sicurezza. Alla fine del progetto abbiamo misurato migliori performances e minori costi, il valore della sicurezza dell’informazione del nostro “cliente” sarà sicuramente aumentato anche nel suo percepito: sistema meno lento e ottenimento di restore molto veloci. Il miglioramento di un piccolo ma fondamentale processo, una eccellente esecuzione operativa.
Andare più a fondo: si può fare tutto questo senza essere al governo
Un problema di tutte queste metodologie che coinvolgono il sentito di ogni persona che partecipa ad una attività, è la credibilità di chi fissa gli obiettivi. Chi fissa gli obiettivi deve essere veramente molto credibile, si dovrebbe dire un Leader.
La partenza di un qualsiasi progetto di cambiamento che vuole coinvolgere tutti i dipendenti è un procedimento che parte dall’alto con l’esempio e si trasmette a tutti. Per realizzare una convergenza tra gli obiettivi personali e aziendali occorre un clima di fiducia molto difficile da vedere nelle aziende che visito. Fiducia è trasparenza. Se troppe informazioni vengono nascoste, non c’è più trasparenza, non c’è più fiducia. Ci saranno sempre informazioni di carattere riservato, occorrerà dire quali sono e perché devono essere considerate riservate. Il gioco deve essere leale, le regole del gioco chiare, la gerarchia esplicita. Chiunque in posti di responsabilità deve avere la sufficiente autorevolezza sui propri collaboratori, che si devono fidare di lui. E gli strumenti? E’ tempo che gli strumenti metodologici ed informatici (non i device, ma quello che ci si fa con i device), diventino un asset strategico al pari livello delle altri asset: le persone, i mezzi tecnici, il denaro. E’ tempo che chi amministra le metodologie sia coinvolto nelle decisioni strategiche, possa dire la sua ed influenzare le scelte. E’ molto difficile, se si rimane completamente fuori dalla stanza dei bottoni, che si possa pensare ad una progettazione organizzativa ad alto contenuto informativo (data driven), che metta assieme i domini della responsabilità, della collaborazione, della condivisione…. It’s long way to tipperary…
Enrico Parisini – Presidente ASSI