Principi di semplicità e Effordance
Progettare la semplicità per disegnare strategie di marketing e di comunicazione che siano in sintonia con i nuovi trend emergenti, già visibili ad occhio nudo, interpretabili però attraverso la contaminazione di diverse discipline tra loro, prima isolate nei singoli campi scientifici: la sociologia, la semiotica, il design, la psicologia dei comportamenti, e perché no la filosofia per un contributo ideale e umanistico. Dico subito che non è un ingenuo ideale, molte aziende di successo stanno creando dei task interdisciplinare per capire e leggere la complessità della nostra epoca e intercettare l’emergere dei nuovi bisogni. Come ricorda Gallucci la Philips, con la sua strategia di posizionamento comunicata con lo slogan “Sense and Simplicity” a partire dal lontano 2004, rende evidente che si va ben oltre una dichiarazione di intenti: si va dalla generazione di nuove idee stimolate dal basso, alla progettazione e alla produzione dei prodotti, all’uso di nuovi materiali: processi, questi, orientati alla qualità ed alla semplicità, valori percepibili dai clienti.
A volte, non sempre purtroppo, l’evoluzione della tecnologia digitale ha favorito la realizzazione di artefatti pensati per una semplice esperienza con essi: mentre l’hardware tende a digitalizzare tutto ciò che non lo è in origine (immagini, audio, etc.), il software tende invece a rendere l’interazione tra uomo e l’artefatto analogica (il mouse prima, il touch screen attualmente, il gesture recognition nel breve futuro), e ciò per rispondere alla esigenza umana (l’uomo è analogico!) di interagire con gli oggetti tecnologici (e sempre più miniaturizzati) quasi come fossero parte del proprio corpo, e come tali “invisibili”.
Lo psicologo Gibson a tal proposito ha coniato un termine che ci aiuta ad argomentare intorno agli artefatti: |’affordance| che deriva da |to afford| e che rimanda ai significati di ||permettere||, ||offrire||. In sostanza l’affordance è un invito operativo di un artefatto che ci induce ad utilizzare le sue funzioni indicandoci facilmente, intuitivamente, quali di queste sono consentite e quali non. Se vedo una attaccapanni, se prendo in mano una forbice non dovrei vivere l’angoscia di trovare i rispettivi libretti d’istruzioni all’uso (ammesso che siano semplici)
Per amore di completezza citiamo Norman il quale aggiunge una ulteriore distinzione, quella tra l’ affordance cognitiva e quella materiale. La prima esprime la capacità di un artefatto di “comunicare” la sua funzione e il suo funzionamento, dicendoci “prendimi e usami”, potremmo dire.
La seconda invece indica la capacità fattuale di essere effettivamente adeguato allo scopo. In conclusione, parlando di affordance, possiamo dire che tutto ciò riguarda la capacità di un prodotto (o servizio) che grazie alla sua progettazione intrinseca, insieme ad un efficace design (di cui ne parleremo in seguito), il prodotto (o servizio) rende intuitivo e immediato il suo utilizzo, dentro un determinato contesto/ambiente di riferimento sso che vi siano).
Il designer giapponese Naoto Fukasawa ha concepito un curioso package per le confezioni di succhi di frutta: lo scopo è quello di far intendere il gusto del succo di frutta soltanto guardando il package creato con le sembianze della buccia del frutto. Un idea che senza dubbio è utile per i bambini più piccoli che non sapendo ancora leggere possono identificare il frutto e intuirne o associane facilmente il sapore.
Il design e la progettazione hanno fatto si che le qualità intrinseche del oggetto e la sua forma indicano già di per sé la sua funzione, per cosa è stato progettato, e non una astrazione delle funzione stessa. Ricordate a tal proposito il vecchio video-registratore? Molto probabilmente buona parte dei clienti lo usavano solo per le funzioni più immediate e intuitive, quelle di lettore di una video-cassetta, non certo quelle preposte (tante e complicate) per la programmazione differita di una registrazione.
Andando più in profondità va aggiunto che oltre alla affordance espressa direttamente da un oggetto, vi è anche quella mediata, dovuta alla interferenza che una esperienza vissuta, o di una cultura (abito mentale), fa si che l’interazione con l’oggetto abbia significati diversi anche in funzione di un contesto.
Se in passato mi sono ferito una mano prendendo distrattamente un coltello, ora l’interazione con quello stesso artefatto subisce le “ferite” del passato rendendomi più prudente e attento (si attiva una particolare funzione attenzionale): sono maggiormente consapevole del coltello che ho in una mano. Rispetto alle diverse culture una banale forchetta, per noi “civilizzati” è uno strumento per gustare un succulento cibo, ma per un indigeno di una remota tribù potrebbe tranquillamente essere uno strumento di cattura.
L’attuale momento di metamorfosi (appesantito anche dalla pandemia Covid-19) lo si vede nei comportamenti dei clienti:
- Ricerca del senso/essenziale: si diffida del superfluo (costo improprio)
- Rifiuto della complicazione: una sedia non ha bisogno di essere spiegata, facebook non necessità di un corso di formazione
- Si acquista se è necessario e si è informati (social network, esperienze) e si confronta
- Attenzione ai valori etici e spirituali
Il cervello agisce esemplificando, altrimenti va in panico: riusciamo a comprendere uno stimolo a darli senso in 1 quinto di secondo: da qui l’importanza del fattore TEMPO: semplificare significa nel fornire il massimo della informazione utile in uno spazio tempo molto concentrato.
Progettare artefatti semplici è difficile: il telecomando, la penna per scrivere, il cambio automatico, sono invisibili dal punto di vista dello sforzo cognitivo, la maggior parte degli artefatti ci vengono alla coscienza quando si rompono e ci danno un senso di frustrazione e regressione. Quanto telefoniamo non ci preoccupiamo della rete e delle complessità insite
La tecnologia: hardware sempre più digitalizza ciò che è analogico (nascondendo le complicazioni/complessità) mentre il software (interfacce) rende sempre più l’esperienza analogica (umana).
La necessità per le imprese di progettare la semplicità per i clienti e per questo necessario essere orientati in tutti i processi alla semplicità. Vince che sa dare una risposta ad un bisogno insieme alla semplificazione della esperienza di uso. Il mondo è già complesso: alla epoca preistorica un individuo interagiva con circa 10 artefatti, in epoca romana già con 100, oggi sarebbe impressionante fare l’inventario, e molti di questi sono a noi invisibili (orologio, la biro, diverse tecnologie come il telefono, il cambio automatico, le reti di comunicazione, etc.).
Ideare degli oggetti semplici non è sempre facile, in genere una cosa semplice nasce da un virtuoso mix tra l’orientamento culturale e fattuale, la creatività e l’intuito del progettista. Tanti e innumerevoli sono i casi di artefatti che ci hanno semplificato la vita, spesso nati da una intuizione, ma sempre da una mente dove il seme dell’intuito ha trovato un fertile terreno. Potremmo citare, solo osservando i comuni oggetti che stanno vicino a noi (Gallucci) l’invenzione del mouse già nel lontano 1964 ad opera del ingegnere Douglas Engelbart, il telecomando inventato nel 1956 da un certo Robert Adler; la gomma per cancellare, nata dall’invenzione nel 1770 di uno scienziato inglese Edward Naim il quale si accorse delle proprietà del caucciù in grado di cancellare i segni di grafite (invenzione poi perfezionata dalla Goodyear che nel 1939 sviluppo il processo di vulcanizzazione della gomma, in grado quindi di industrializzare la produzione in massa del prodotto che tutti oggi utilizziamo); il post-it inventato da Arthur Fry nel 1974 quando era in 3M, osservando il comportamento di una colla non particolarmente efficace (sempre da lui precedentemente inventata) mentre era intento ad escogitare il miglior modo per “indicizzare” la pagine di un libro attraverso dei piccoli fogli. Pensate che la stessa 3M accettò l’idea, ma impiegò diversi anni prima di lanciarla sul mercato, come avvenne in effetti nel 1980 attraverso una epica campagna marketing che ne decretò il successo in tutto il mondo.
Un artefatto o un servizio possono presentare sia nella dimensione sociale che in quella individuale livelli diversi di semplicità, cioè il trade-off tra lo sforzo cognitivo richiesto (ricordate il rapporto tra effort e tempo) e il soddisfacimento di un bisogno. Sul piano sociale il codice a barra è stato sicuramente una invenzione che ha permesso migliori efficienze nella logistica dei prodotti, ma sicuramente non credo sia leggibile dal consumatore. Invece il servizio telepass (una volta sbrigate le incombenze formali di attivazione) risulta un servizio fluido, a sforzo cognitivo quasi nullo (basta ricordarsi di passare davanti al casello a velocità ridotta). Riflettendo sul piano individuale è nota la difficoltà che si incontrava nell’uso del video registratore, come spesso è fonte di frustrazione e di inutili complicazioni il servizio di post-vendita, quando si chiede qualcosa in ordine ad un problema. Cosa diversa credo sia il livello di semplicità che si sperimenta nell’acquisto on line di un libro o di un particolare prodotto (scelto e ordinato il bene, almeno negli store on line più affermati, immediatamente si ha anche il monitoraggio dei tempi di consegna e si è avvertiti, attraverso una e-mail, quando il prodotto è effettivamente in arrivo o vi sono dei problemi).
Spesso gli utenti che vogliono salire, vedendo che l’ascensore è al 4 piano, spingono il tasto «GIU», quinndi ragionano come comandare la macchina.
Invece l’artefatto dovrebbe suggerire «dove vuoi andare, indipendentemente da quale piano sono fermo»
Caldo o freddo … rispetto a cosa?
I pulsanti della caldaia si riferiscono alla temperatura della caldaia ( la macchina)? all’ambiente esterno (il contesto)?, o sulla percezione dell’utente (utente)?
Soluzione: dare un riferimento, es. casa con riferimento stagione esterna (fredda o calda)
Fonte: www.gianniprevidi.net