Marketing Intelligence: l’intelligenza artificiale per “bucare” l’attenzione, la vera risorsa scarsa oggi
Qual è oggi la risorsa critica, scarsa, più del denaro? L’attenzione. Osservava Herbert Simon “Ciò che l’informazione consuma è abbastanza ovvio: essa consuma l’attenzione di chi la riceve”. Comunicare, oggi, è ancora più complesso (se possibile) di ieri, non perché manchino i canali di comunicazione, ma perché scarseggia una importante risorsa, l’attenzione, mentre imperversa molta interferenza, il rumore.
Paradossalmente la velocità aumenta, ma l’attenzione non cresce. Pare proprio che l’elemento importante, l’anello che manca in ogni strategia di marketing sia l’attenzione.
Ma l’attenzione, come altri beni intangibili nell’economia di velocità, pare rispondere alla legge economica dei rendimenti crescenti: più se ne ha in partenza, più semplice sarà disporne sempre di più.
Per tentare di “bucare” l’attenzione dobbiamo leggere nella sua mente sociale della persona, per capire chi è, cosa fa, che interessi esprime e quindi fare engagement con messaggi di senso (per lui, semplici e pertinenti, puntuali) e coerenti con la sua identità (o parte di essa). I social media sono l’universo (info-sfera) dove si esprimono le socialità, i sentiment, i desideri, le contraddizioni, le identità multiple. Oggi abbiamo le tecnologie, sensori che possiamo utilizzare per catturare queste informazioni. Ma non si dimentichino altri punti di contatto, ad esempio fisici come i punti di vendita nel retail: tutte informazioni che dobbiamo catturare per arricchire la nostra conoscenza, il sapere.
Solo così i dati raccolti non saranno inermi numeri statistici, ma vera conoscenza
L’attenzione a come il cliente si relazione col brand nei diversi touch point è importante, ma ancor di più se questa attenzione la si allarga all’agire sociale del cliente: parliamo dunque di Customer Engagement & Esperience Journey. Insomma dobbiamo andar oltre alla logora categoria del “consumatore”, cioè focalizzarci solo nel momento dell’acquisto, ma allargare con la torcia (e oggi con le possibilità offerte dalle tecnologie digitali) il campo sociale entro il quale l’individuo sviluppa le sue relazioni, per comprendere ciao che succede prima e dopo il mero momento dell’acquisto.
Il marketing cognitivo è la mente che c’è dietro un messaggio o un contenuto che si intende trasmettere, ma la mente non è quella del “creativo” che deve ideare la campagna ma quella dell’utente a cui è destinata. L’obiettivo finale del cognitive marketing e quello di catturare l’attenzione, le emozioni, l’interesse, la fidelizzazione degli utenti capendo come “far breccia” nelle loro menti nel momento preciso. Dopo può risultare “out of scope”. Ma attenzione: è ancora radicata l’idea che prima si debba far funzionare bene il processo che dalla transazione (l’atto dell’acquisto) porta al guadagno (L2RM, cioè lead-to-revenue management) e solo poi si possa pensare all’analisi. È una visione miope, perché il marketing che sfrutta le analisi sui dati crea valore se è applicato all’intero ciclo di vita del rapporto con il cliente e in particolare proprio alle fasi precedenti l’atto d’acquisto e dopo, nel momento dell’esperienza che il cliente matura interagendo col prodotto o servizio.
Gianni Previdi
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Immagine: Cave Adsum